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Pierfrancesco Matarazzo

Spellare emozioni altrui: un esercizio di empatia

Aggiornamento: 19 nov 2020

Avete mai raccontato una storia a un bambino?

Di quattro o cinque anni, non così piccolo da essere ammaliato da qualsiasi voce ripercorra le istruzioni per montare un mobile IKEA e non tanto grande da essere interconnesso a mondi vibranti e bippanti che lo sottrarranno alla vostra narrazione in pochi secondi. 

Si metterà steso a pancia a terra, i piedi a fluttuare nell'aria, il collo allungato verso di voi, come quello di E.T., in attesa. Se la storia che avrete scelto sarà appena passabile, la sua immaginazione ipertrofica e affamata farà il resto, sganciandosi dal corpo e realizzando con voi quell'affinità elettiva che ogni Mentore cerca con il proprio Telemaco.


Con l'età adulta purtroppo l'immaginazione perde elasticità, lasciando spesso il suo posto alla razionalizzazione spinta, una sorta di ragionamento-ponte fra noi e il mondo esterno che semplifica e banalizza ogni emozione provata o intercettata con l'obiettivo di farla rientrare in una delle classificazioni che abbiamo creato con tanta solerzia.

Tristezza, Gioia, Paura, Rabbia, Disincanto, Speranza hanno un'unica forma e intensità: la nostra. Le emozioni vengono spellate dalla mente come gli strati di una cipolla (ad effetto soporifero più che lacrimogeno) e perdiamo la capacità di sorprenderci per ciò che accade e di immedesimarci con ciò che provano gli altri

Se, come me, non avete narratori creativi e illuminati che si presentino in carne e ossa a casa vostra per raccontarvi storie che restituiscano un po' di strati alla vostra cipolla emotiva, avete però la possibilità di usufruirne a distanza, raggiungendo, in alcuni casi, livelli di consapevolezza e potenza immaginifica vicina a quella di un cinquenne Niente paura, non vi propongo meditazioni massive o diete digitali (sebbene vorrete silenziare i vostri device durante questa pratica), ma solo qualche ora a settimana da trascorrere in compagnia di un romanzo o di un racconto. Attenzione: non valgono saggi o articoli di approfondimento sulla vostra professione o sullo scenario economico/sociale/ politico in cui siete immersi.

State provando a sganciarvi dalla vostra realtà e dalle dinamiche che mettete a terra ogni giorno per gestire i rapporti con quei 'folli altri che non capiscono il vostro punto di vista'. Ognuno si lascerà guidare dal proprio istinto per scegliere l'autore e il titolo che lo ispira, l'importante è che si generi quella 'fascinazione esperienziale' nella mente del lettore che renda unico il momento che sta vivendo per le emozioni e la capacità di immedesimarsi in questo o in quel personaggio e nel suo più intimo sentire. Se così non sarà, non avrete incontrato l'autore adatto al vostro viaggio, non desistete però, ne vale sempre la pena. 

Nel mio continuo cercare fra le pieghe della narrativa in cerca di spunti per comprendere il punto di vista di chi mi sta di fronte, mi sono imbattuto ne Il vento selvaggio che passa, romanzo di Richard Yates, pubblicato per la prima volta in italiano da minimum fax grazie alla traduzione di Andreina Lombardi Bom. Penultima opera narrativa dell'autore di Revolutionary Road e Eastern Parade, a cui si sono ispirati molti scrittori del secondo Novecento (a cominciare da Kurt Vonnegut) per ritrarre la lotta continua che vede le aspirazioni e i talenti dell'uomo comune scontrarsi con le regole della società e del Mercato che lui stesso sostiene. Il vento selvaggio che passa racconta la storia di Michael e Lucy Davenport, coppia costantemente concentrata sui rispettivi desideri infranti e sul modo in cui, attraverso questi, leggono la vita che hanno attorno, fatta di persone che sembrano ottenere tutto ciò che vogliono o dichiarano di volere.  Con una rara capacità di introspezione dei personaggi, purezza della scrittura e abilità nel costruire dialoghi, Richard Yates mi ha risucchiato nella storia, aiutandomi a ricordare che "la differenza fra persone forti e persone deboli, a un esame attento, finisce sempre per andare in pezzi".  È bene tenerlo a mente quando si confronta la propria vita con quella delle persone che ci circondano o quando si valutano le esigenze (proprie o altrui) partendo dal presunto rapporto di forza o di debolezza che lega due individui. 

Tom Hanks, nel film You've got mail di Nora Eprhon, racconta a Meg Ryan che la pellicola di Francis Ford Coppola Il Padrino è una fonte inesauribile di ispirazione, uno scrigno dove trovare una risposta valida a ogni domanda. Ebbene Il vento selvaggio che passa è appena diventato il mio Padrino, permettendomi di osservare la vita che percorro dall'esterno, per poi rientrarvi con occhio generoso e attento ai miei (e altrui) desideri, un prezioso esercizio di empatia.

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